IL MARKETING AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
La diffusione della pandemia sta avendo un impatto profondo non solo sulle vite dei singoli, ma anche sulle organizzazioni aziendali. Sia quelle appartenenti a settori che ne risentiranno negativamente, sia quelle che ne avranno un beneficio.
Il fermo obbligatorio e il lavoro da casa stanno gettando i semi per un nuovo modo di fare impresa o rimarranno soltanto una parentesi indigesta? E il marketing, oggetto di questo mio piccolo taccuino pubblico, ne uscirà rafforzato o indebolito?
Avendo avuto modo di chiacchierare con i CMO di diverse aziende, ho provato a tracciare una matrice dei diversi approcci al marketing e alla comunicazione che si possono avere durante le emergenze.
Lo scenario mediale: iperconnessione e intrattenimento
La permanenza forzata tra le mura domestiche ha fatto aumentare il tempo speso davanti alla tv e al desktop. Nel contempo sono diminuite le occasioni di ascolto della radio e di utilizzo di dispositivi da rete mobile (stando a casa li si usa connessi al wifi).
In Italia il traffico Internet è cresciuto fino al 40% e si dirige soprattutto verso i siti di informazione, i social media (+30%), la messaggistica istantanea, i video (soprattutto in live streaming) e i giochi. Siamo entrati in una dimensione di iperconnessione, in cui la domanda e l’offerta di intrattenimento raggiungono nuovi livelli d’intensità.
In questo scenario il 45% delle aziende taglierà le attività di marketing, il 49% ridurrà gli investimenti in pubblicità, il 33% rimanderà il lancio di nuovi prodotti. A farne le spese sicuramente gli eventi e l’Out of Home, ma anche la stampa e la TV.
La matrice del marketing emergenziale
Per descrivere l’impatto del Coronavirus sulle aziende provo ad usare una matrice a due dimensioni, una per rappresentare lo stato psicologico del management (dalla paura che produce vari gradi di paralisi fino al dinamismo frenato) e l’altra per indicare l’approccio al marketing, frutto della cultura aziendale e della propensione all’innovazione (dalle organizzazioni che sono ancorate ad un comportamento più tradizionale fino a quelle maggiormente portate alla sperimentazione).
- aziende spaventate: sono quelle che vivono l’arrivo del virus come un trauma, indipendentemente dal reale impatto sul fatturato. La loro cultura è più statica e l’investimento in marketing è di tipo tradizionale. In questo momento la paura può trasformarsi, per loro, in paralisi. In questa tipologia di organizzazione il marketer teme di fare la mossa sbagliata e quindi preferisce non esporsi. La scelta è di tagliare il budget per ridurre l’impatto del minor fatturato e tenere in equilibrio il bilancio. Ad esempio brand come Purell e Clorox hanno fermato tutte le pubblicità per paura di essere tacciate di opportunismo;
- aziende attendiste: sono quelle in cui il management è fortemente colpito psicologicamente, ma la cultura aziendale è dinamica. Lo scontrarsi di queste due forze, nella maggior parte dei casi, porta ad un atteggiamento cauto. Vengono convertiti alcuni investimenti di comunicazione in altri (ad esempio si testano formati o spazi nuovi) e si approfitta del tempo sospeso per avviare attività sempre rimandate (ottimizzazione del sito e dei social, analisi dei clienti e del customer journey, creazione di contenuti utili per il periodo post-crisi, progettazione dell’ecommerce);
- aziende proattive: sono organizzazione che hanno un approccio manageriale ottimista e pro attivo, ma un marketing tradizionale. In questa categoria ricadono le aziende che, pur rimanendo su un terreno di comunicazione di comfort, provano ad adattarsi alla situazione. Quelle che lanciano iniziative solidali, inviano email di vicinanza ai propri clienti, pianificano spot di incoraggiamento (in questo periodo cose del tipo “insieme ce la faremo” o più prosaici inviti a cambiare i propri comportamenti).
Ad esempio, per rimanere nel campo dei detergenti, Dial Soap o Mucinex hanno incrementato la comunicazione sui social, promuovendo le raccomandazioni del governo a lavare le mani più spesso.
Un balzo di creatività in più l’ha fatto Netflix che ha usato l’Out of Home (che ha subito un crollo di prezzi) per spoilerare il finale delle serie tv a quanti escono dalle proprie abitazioni (ma quelli che lo fanno per necessità?); - aziende innovative: ci troviamo in contesti abituati al dinamismo e all’innovazione, anche di marketing. Nei momenti di crisi queste aziende tendono a sperimentare, occupando nuovi spazi di azione e nuovi stili di comunicazione. Rientrano in questa categorie quelle che decidono di mettere a disposizione la propria tecnologia per la produzione di strumenti utili per l’emergenza. Tra queste Decathlon che, dopo un hacking dal basso delle sue maschere da snorkeling, ha deciso di mettere a disposizione le specifiche originali per migliorare il progetto. O anche Ford e GE che hanno unito le proprie tecnologie per produrre ventilatori e maschere filtranti.
La parte sinistra della matrice non pone particolari rischi nell’immediato, ma potrebbe determinare una perdita di quota di mercato dovuta all’immobilismo. La parte destra può generare dei rischi nel breve periodo, ma potrebbe garantire un miglioramento del “top of mind” futuro. Ma attenzione perché nella frenesia del fare si annidano i più grandi “fail” di comunicazione.
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